La Mamma di Dado

Sono quasi le 3 di notte quando sto tornando a casa con la mia Panda e vedo camminare una figura femminile di mia conoscenza. Andatura stanca, noto, se c’è stata una festa deve essere finita male. Mi avvicino, è la mamma di Dado, si chiama Marianna, ma tutti la chiamano Mari e a lei sta bene così, perché a chiamarla Marianna erano solo i suoi genitori e il suo fidanzato Sandro e nessuno di loro è ancora vivo.
Accosto e le dico Ciao Mari, risponde Ciao Nico, ma il sorriso è plastico, è gelosa della sua dignità questa donna, non vuole far vedere che è in difficoltà.
Le chiedo Che è successo? e lei mi racconta che uscita dal locale in cui lavora ha trovato l’auto con tutte le ruote bucate, era troppo stanca per pensare a come fare, troppo stanca per chiedere aiuto, troppo stanca persino per piangere. Mi dice Ho iniziato a camminare, il bello di quando cammini è che ogni passo che fai è un passo verso la tua destinazione, se cammini non sei ferma, non aspetti niente, se cammini prima o poi arrivi.
Mari sale in macchina. L’accompagno a casa sua. Dado dov’è? Andava a dormire da un amico suo, risponde. Fuori Roma, crede.
Dal modo in cui parla capisco che ha bevuto un po’. Non barcolla, non balbetta, ma c’è qualcosa di strascicato nella sua voce.
Arrivati sotto casa sua, mi dice Sali. Piega la testa, movimento più stanco che dolce, e mi dice Ti offro qualcosa da bere. Nella sua voce c’è qualcosa che non è cortesia, ma una specie di urgenza, una richiesta di aiuto. È la mamma del mio migliore amico, penso, la sua vita è tutt’altro che facile, è sola e Dado non è proprio il figlio che ha le spalle larghe per sostenere l’emotività della madre, penso che Sì, dovrei salire, Mari avrà voglia di parlare, nella sua domanda c’è disperazione.

[artwork by Jenny Morgan]

[artwork by Jenny Morgan]

Ci mettiamo seduti al tavolo da pranzo, un tavolo che ho visto mille volte, Dado che disegna silenzioso, io che lo osservo e gli passo una canna, Dado che dice una frase che non sai mai da dove l’ha presa, e io che mi sforzo di capirlo, di tradurre quella frase in qualcosa che deve aver sentito o pensato o ripescato dal passato. È strano essere seduti su questo tavolo senza Dado, non ci sono colori, non ci sono fogli, non ci sono draghi-che-mangiano-altri-draghi, che almeno ci sia la solita canna d’erba, mi dico, chiedo il permesso, permesso concesso.
Io rullo e Mari prende una bottiglia di whisky e mentre riempie due bicchierini mi informa che le piacciono i liquori che migliorano con l’età perché spera che accada lo stesso anche a lei, poi ride, risata breve, amara.
Sorseggia il suo whisky, Mari, e mi dice, senza che abbia fatto alcuna domanda, che la mattina fa la badante a un paralitico, uno che ha una specie di sdoppiamento della personalità, parla come una persona normale, con calma, a volte persino con dolcezza, poi all’improvviso, senza motivo, il volto assume una smorfia crudele e vomita una fila di insulti tipo Brutta-stronza-lurida-troia-cagna-maledetta. Non lo fa apposta, dice Mari, Non se ne accorge, dura un attimo, poi riprende a parlare come prima.
La sera lavora in uno squallido night club, serve ai tavoli, balla vicino ai clienti, a volte ci va a letto per guadagnare di più. Forse questo non dovevo dirtelo, chissà che idea ti farai di me, mi dice abbassando lo sguardo. Poi lo rialza, punta i suoi grandi occhi nero-palude contro i miei e mi fa Promettimi di non dirlo a Dado.
Raramente faccio sesso, Mari continua la sua confidenza, molti di loro sono vecchi, vogliono solo parlare mentre toccano una donna nuda, alcuni mi chiedono cose bizzarre, c’è chi vuole essere sculacciato, chi vuole leccarmi i piedi, io sono così stanca che entro in trance, sono lì ma non sono lì, cioè non è che sono da un’altra parte con la testa, non sono in nessun posto. A volte mentre torno a casa mi ricordo che non posso fare questo lavoro ancora per molto, se mi pagano per fare qualche moina e muovere il mio corpo intorno al tavolo è solo perché quel posto fa schifo, i prezzi sono bassi e vengono solo uomini che non possono permettersi altro, uomini che pensano che poco è meglio di niente, ma ho 45 anni e fra poco sarò troppo vecchia anche per un posto del genere. E allora, cosa farò? Con il lavoro da badante ci pago solo l’affitto. Cosa farò dopo? Non lo so, sono solo capace di vivere alla giornata, se non lo faccio, se inizio a progettare, mi metto a piangere e non smetto più, inizio a stare male, non riesco più ad alzarmi dal letto.

[artwork by Zhang Haiying]

[artwork by Zhang Haiying]

Si versa un altro bicchiere di whisky, sta per versarlo anche a me, ma io sposto il bicchiere, Sto fumando, le dico, Preferisco non mischiare. Mi dice che è contenta che Dado ha un amico come me, ho gli occhi dell’amico vero, Ci sarà un mucchio di gente che vuole essere mia amica, sostiene, Sembri uno coi piedi per terra, uno che non sbanda, Dado è così sperduto, così chiuso in se stesso, ha bisogno di un amico come te. Faccio cenno di sì con la testa e mentre continua a parlare penso che mi ritrovo sempre a fare il padre, padre dei miei genitori, padre di Dado e ora padre di questa donna disperata che potrebbe essere mia madre, e so che prima o poi il bambino che è dentro di me uscirà fuori e so che uscirà fuori nel momento sbagliato, tutto insieme, la mente si fa torbida, sarà il whisky, sarà questo pensiero di bambino soffocato, scuoto la testa mentalmente, ritorno in quella sala da pranzo, ritorno da Mari che mi sta raccontando del padre di Dado.

Avevo sedici anni quando mi sono fidanzata con Sandro, non avevamo ideali, non avevamo guerre da combattere, era tutto dei nostri genitori, loro avevano conosciuto il dolore, la fatica, la perdita, per noi quelle erano parole nelle canzoni che ascoltavamo su un prato, non potevamo afferrarne il senso, erano un’idea, un feticcio, noi eravamo i figli della guerra, a noi ci riempivano di cibo per tacere la fame che avevano sentito altri. Eravamo leggeri, eravamo ingenui, eravamo soli. Quando abbiamo iniziato a bucarci c’era tutto questo, parole che perdevano il loro peso in una melodia, innocenza, solitudine. Il giorno in cui è nato Dado ci facevamo di eroina da quasi due anni, non eravamo capaci di uscirne, ricordo che non contava più nulla, solo un’altra dose, e un’altra ancora, ma la nascita di Dado, vedere quel bambino così debole, ha cambiato qualcosa dentro di me, era come se avessi anch’io la mia guerra da combattere, un ideale dal volto innocente, mi sono impegnata, sono riuscita a smettere, non avevo nessuno che mi aiutasse, eppure ci sono riuscita, ma Sandro no, lui continuava, viveva a casa con me, a volte mancava per giorni, a volte tornava strafatto.

[artwork by Jeremy Enecio]

[artwork by Jeremy Enecio]

Una volta c’era una bustina di eroina sul tavolino, Sandro se l’era dimenticata, io ero stanca, triste, facevo qualsiasi lavoro pur di mantenere Dado, potevo contare solo sulle mie forze e quel giorno ero crollata, piangevo, non so cosa mi è preso, sono uscita da me stessa, qualche demone ha preso il controllo, ha deciso per me. E mi sono fatta di nuovo. Quando sono riemersa da quella meravigliosa sensazione che conoscevo sin troppo bene, ho preso tutta la forza che avevo e ho fatto l’unica cosa intelligente della mia vita, anche la più crudele, me ne andai con Dado, venni qui in questa casa, dove a quei tempi viveva mia zia, chiusi ogni contatto con Sandro, non dovevamo più vederlo, dovevamo salvarci, lui mi venne a cercare tante volte, urlava sotto casa, la mattina aspettava che uscissi per andare al lavoro, capitava che riuscivo a rientrare nel portone in tempo, allora chiamavo il lavoro, Arrivo più tardi, capitava che non ce la facevo, allora Sandro mi aggrediva, mi saltava addosso, per fortuna era debole, debolissimo, mi buttava per terra, mi dava qualche schiaffo, erano schiaffi senza forza, i segni andavano via qualche ora dopo. Dopo sette mesi dalla mia fuga con Dado, venni a sapere che Sandro era morto di overdose. Tirai un sospiro di sollievo, pensavo di morire, invece mi sentivo salva, soprattutto sentivo che Dado era salvo, ora dipendeva solo da me.

Ha gli occhi lucidi Mari, con le dita si arriccia un ciuffo di capelli, lo arrotola, lo sevizia, allenta la presa, poi ricomincia. Prende il whisky, sta per versare un altro bicchierino, la fermo, non dovrei, non sono affari miei, ma è un gesto istintivo, lei mi guarda spiazzata, allora sorrido, Hai bevuto abbastanza, le dico, Domani sarà un altro giorno faticoso per te, mica vorrai svegliarti con il mal di testa. Sorride anche Mari, mi asseconda, lascia stare il whisky, si accende una sigaretta.
Riprende a parlare, sembra non lo faccia da giorni, da mesi, da anni, parla e non se ne rende conto, parla con me, parla con se stessa, parla con i pezzi della sua vita.
Dado è sempre stato un bambino chiuso, mi dice, A scuola non andava bene, non perché non fosse intelligente, è che non parlava, faceva scena muta a tutte le interrogazioni. Se la cavava quando non doveva parlare, nei compiti scritti, anche se i professori pensavano copiasse perché poi all’orale non diceva una parola, nei temi, anche se la maestra mi chiamava spesso per dirmi che c’era qualcosa che non andava in lui, per le cose che scriveva. La scuola, con tutte le sue regole, non era un posto per Dado. Era felice solo quando disegnava, lo è tuttora, ho pensato che se uno ama fare qualcosa deve poterla fare, non potevo permettermi una scuola seria, solo un corso annuale, per il momento, poi chissà. Soffia il fumo verso il soffitto Mari, e ripete a se stessa Poi chissà. Poi. Chissà.

[artwork by Joel Rea]

[artwork by Joel Rea]

Quando ha finito il liceo, l’ho aiutato a trovare un lavoro in una videoteca. Lo stipendio entra nel conto che gli ho aperto quando ha compiuto 18 anni, potrei non fare il secondo lavoro, potrei chiedere i soldi a lui, visto che è mio figlio e vive in questa casa, ma voglio che abbiamo un futuro, mi sembra inadeguato a tutto, come se fosse nel mondo sbagliato, voglio che si metta da parte un po’ di soldi, un giorno io non ci sarò più.
Che rimanga fra me e te, a volte controllo il suo conto, ho paura che butti i soldi che guadagna, sono stata giovane anch’io, sono stata tanto sciocca. Mi guarda, sbuffa, la voce si fa più aspra quando mi dice Devo essere proprio ubriaca per dirti queste cose, non raccontarlo a Dado per favore.
Mari ha sonno, si vede, ha gli occhi che si chiudono, ha rughe che poco fa non si vedevano, ha il trucco sfuggente, ma non va a dormire e a me non va di interromperla, si riconosce il momento in cui tutto andrà a tacere, si respira, non è ancora questo, mi preparo un’altra canna, le chiedo E i soldi ci sono?
Diciamo che mancano più di quelli che dovrebbero mancare, riprende Mari, ma non così tanti. È solo che mi chiedo cosa ci faccia, vestiti non ne compra mai, alle spese di casa ci penso io, il corso di disegno l’ho pagato io, non esce spesso, una o due volte in mezzo alla settimana senza fare molto tardi, a mezzanotte è già a letto, io torno dal lavoro e lui dorme, oppure è in camera con la luce accesa, in silenzio, penso che disegni. Esce il sabato, ma penso questo tu lo sappia già, il sabato fa tardi, torna alle 5, alle 6, a volte torna il giorno dopo, all’ora di pranzo, forse li spende in quelle occasioni, tu che ci esci insieme sai qualcosa? Andate in posti molto cari? Beve molto? Si droga? Scusa, non devo chiederti queste cose, se un’amica di mia madre me le avesse chieste sarei andata via di corsa.
Riprende a guardare il soffitto, sta pensando, la stanza è piena di non so cosa, di parole, di vita, di pensieri, così densa che un po’ di silenzio non può che farle bene, una parola di troppo, un movimento in più e le pareti potrebbe crollare, resto in silenzio anch’io, la serata sta per finire, ma aspetto che Mari abbia detto tutto, ecco che riprende a parlare, con più foga questa volta, come se fosse stato un silenzio di pensieri, di domande, di punti interrogativi che ora deve sputare fuori per sopravvivere.

Rientro a casa di notte e lui già dorme oppure rientro a casa di notte e lui tornerà molto più tardi e proprio non ce l’ho la forza di aspettarlo, vorrei, vorrei, vorrei vedere se ha bevuto, se si è drogato, ma crollo, a volte ci ho provato, mi sono messa sul divano con la TV accesa, ma mi addormento, mi sveglio la mattina alle 7, torno alle 2, il mio corpo non ha la forza di un tempo, quella che aveva l’ho rovinata con le mie mani. Allora qual è la cosa giusta? Fare un solo lavoro e lasciare Dado senza soldi ma riuscire a controllarlo o fargli mettere da parte i soldi ma non riuscire a controllarlo?
Non so cosa dirle, mi sento un idiota mentre dalla mia bocca escono parole come A Dado posso pensarci io, non posso pensarci come una madre, ma posso stare attento che non si metta nei guai. Penso a tutti i rave a cui siamo andati, penso a quando ci siamo presi l’MD insieme, penso alle volte che non gli ho impedito di prendere altre droghe, e mi resta in bocca un sapore amaro, il sapore della cazzata che ho detto a Mari, di quella rassicurazione fatta in casa. Lei sorride, forse aveva bisogno proprio di quelle parole, si avvicina e mi dà un bacio, mi dice È tanto che non faccio l’amore, sesso sì, lo faccio, ma l’amore no. La guardo e avrei voglia di dirle Fallo con me, è affascinante Mari, con quell’aspetto da ballerina che ha pianto perché è stata esclusa dal saggio finale, da ragazza a cui la festa è andata male, è sensuale Mari, vittima e carnefice, figlia e madre, dolce e disperata, ma non posso, non posso per lei, non posso per Dado e non posso per me, le dico Per fare l’amore bisogna amare, le dico Andiamo a letto, le sussurro Ma non a fare l’amore. L’aiuto ad alzarsi e la porto sul letto, mi metto seduto accanto a lei, le accarezzo i capelli, Vado via quando ti sei addormentata, le dico piano, come una ninna nanna. Lei chiude gli occhi, sento la sua voce che mi fa Nico? Dimmi, le rispondo. Tu sei mai stato bambino? Certo, Mari. E proprio quando sento la mia voce, capisco di aver mentito, di essermi messo nei guai, infatti Mari mi chiede Cosa si prova? Cosa si prova a essere bambini? Com’è il mondo quando hai quattro anni o sei anni? Ogni giorno provo a immaginarlo, cerco di ricordare qualcosa, ma trovo solo il vuoto. E pesa.
Non ho la risposta, resto in silenzio, forse realizzo solo ora che non lo so nemmeno io. Guardo Mari, ma lei per fortuna non aspetta nessuna risposta, si è addormentata. E io vado via.

avatar Er Quercia (24 Pubblicazioni)



11 commenti su “La Mamma di Dado

  1. Ho letto e pure la stanza mia s’è riempita de parole. Apro le finestre che danno verso ilTrullo. Devono usci’ tutte piano piano.

  2. C’ho un groppo in gola…ha ragione Er Bestia, come “Cibo per cani” e’ una bomba a mano…e mi unisco all’applauso !!!!

  3. Whao bravo 🙂 complimenti pieno di emozioni che brividi mi sembrava di trovarmici in quella situazione mentre leggevo 😉

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