C’ho rime nella testa, ner core ‘na tempesta (Er Pinto)
Trullo giallorosso
Lazio merda
Sei solo una puttana, egoista
Di notte mi ubriaco bevendo tutte le mie lacrime (Er Farco)
Push the poetry
Stella ti amo
Gianna Ladra
Cammino lento sulla strada, costeggiando le vie che mi hanno visto ragazzo, le aiuole, le scalette, i muretti della chiesa, e di nuove le vie della piazzetta.
Osservo le parole scritte sul cemento dei vecchi palazzi dei lotti, parole per decantare l’arte, o parole cancellate con la vernice nera, per nascondere un’ingiuria, uno scarabocchio, una poesia scritta da chi vuol cambiare le cose.
Non esistono né punti né virgole in tutto ciò che leggo.
“Potrebbe essere il diario pubblico di un quartiere”, penso e mi allontano, accendendomi una sigaretta e desideroso di un caffè all’imbrunire, un caffè prima di cena. E che strano, incontro Johnny, che non vedevo da almeno due settimane, che mi offre un caffè al bar, e io accetto volentieri, con il pensiero che mi ritorna a quelle scritte cosmopolite.
Quando scrivi sul diario hai sicuramente fretta di scrivere, scrivi quando il buio cala, veloce come una siringa nelle vene.
Al bar ci sono Remigio e Branco, i miei amici di una vita, quelli che quando il tempo è allegro ci fa scambiare abbracci e ricordi indefiniti e passati. Ed ecco ora quattro amici al bar.
Sorrido.
I famosi quattro amici di Gino Paoli,
…che volevano cambiare il mondo
destinati a qualche cosa in più
che a una donna ed un impiego in banca
si parlava con profondità
di anarchia e poi di libertà
tra un bicchier di coca ed un caffè
tiravi fuori i tuoi perché e
proponevi i tuoi farò…
Tutto è cominciato da quel desiderio inaspettato di caffè, da quella voglia di mescolare lo zucchero con l’amaro caffè, di girare pochi secondi con il cucchiaino e bere ancora caldo il caffè tutto d’un sorso.
E all’improvviso ho desiderato cambiare il mio mondo, quello di tutti i giorni, quello che ti tiene dentro a forza, conducendoti al grigiore del quartiere, e ho deciso di donare la bellezza alle vie, alla scuola, alle case, alle scale, ad ogni cosa che mi circonda, dando un’anima a quella terra arsa che ormeggia secca nelle aiuole, a quei muri che parlano a tutti con dei semplici e lineari colori, cancellando dal diario pubblico la politica, il calcio, le infamie, lasciando solo la poesia.
Ho deciso di scrivere con il pennello il colore della vita.
La fatica non mi spaventa. Sono solo ora, nel mio pensiero. Pochi soldi in tasca, quelli che restano a fine mese, ma ho fiducia che la più importante opera di bellezza è ormai in atto nella mia testa.
Il bar sta per chiudere, la ragazza del banco ci fa un cenno con la mano per farci capire che dobbiamo andar via, prende in fretta le nostre tazzine e riempie l’ultima lavastoviglie.
“Voglio pitturare tutto il quartiere”, esclamo all’improvviso
“Chi è con me?”
“Ecco allora a cosa era dovuto il tuo silenzio, mi sembrava che stavi macinando qualcosa Mariu’!”, esalta Johnny che ha ben interpretato le mie parole concise ed è già conoscitore della mia follia.
Spiego la mia idea, e ci abbracciamo tutti e quattro, sorridendo come bambini che vanno alla scoperta di un nuovo gioco.
Johnny, Remigio e Branco sono con me. Non sono più solo finalmente.
I primi colori invadono i muri del bar, quello dei quattro amici, quello che il pomeriggio riempie i tavolini con le mamme e i bambini che mangiano il gelato, i muri del piccolo alimentari che fa la pizza rossa calda e più buona di tutto il quartiere anche il tardo pomeriggio, che quando passi davanti senti l’odore di mortadella.
Il viola, il celeste, il verde.
La gente ci fa caso subito, pensa che i negozianti hanno deciso di verniciare le pareti, un pezzo alla volta, o pensa che quei colori sono apparsi di notte ad opera di chissà chi.
In piazza si chiacchiera e si ammira la semplicità dei colori.
Sono due sere che esco con i pittori – ci chiamiamo così ora – a tinteggiare. Indosso la tuta bianca, prendo i tre secchi di vernice e non ho paura di cominciare, si va avanti ed i colori aumentano, mischio il giallo con il rosso, e creo l’arancione, mischio il blu con il giallo e creo il verde. Creo le mie nuove emozioni.
Dipingiamo in silenzio e veloci, una linea netta che separa i vari colori, con la punta del pennello giù fino in basso.
Una vecchietta dietro le imposte della sua finestra pensa che siano arrivati gli extraterrestri a dipingere i muri della sua casa, ci ringrazia e ci chiede se vogliamo un caffè. Sottovoce ci dice: “Che bella cosa che state facendo” e lancia un bacio con la mano e torna alla sua televisione.
Le emozioni crescono, leggo tra gli occhi della gente lo stupore e una nuova visione del mio mondo mi è davanti.
La scuola, la vecchia scuola con il cancello arrugginito, diventa rosa e celeste in un colpo di bacchetta magica, e le mamme, che contente parlano tra di loro all’uscita, si dicono che per i loro bambini ora andare alla scuola colorata è più bello.
La gente dice sì ai muri colorati, ma altri dicono no ai muri colorati.
Via Sarzana ore 21:00
“Chiamiamo i carabinieri, se non ve ne andate.” Una voce di donna dall’alto urla, svegliando l’intero condominio: “Noi non vogliamo i muri colorati. Andate via!”
Un urlo scritto.
Prendiamo i nostri secchi e andiamo via con la gentilezza di chi non usa la forza per farsi intendere.
I figli dell’ignoranza usano esternare i propri pensieri imbrattando i muri della città, per sottolineare un degrado interiore, gente che vuol rimanere nel grigiore e per la quale il cambiamento rappresenta una guerra, un gesto illegale che va fermato con insulti e nuovamente scritte sui muri.
Noi non siamo in guerra, però.
No ai muri colorati
Su otto muri verniciati solo due scritte, senza punti né virgole, fatte con il nero.
Veloci come una siringa nelle vene.
Noi non siamo in guerra, però.
Ritinteggerò quelle parole cancellando l’ignoranza.
Ho sessantadue anni, i miei capelli lunghi sparsi al vento fresco di aprile, preparo la vernice con indosso la mia tuta bianca, mischiando il magico colore che regalerò ai miei concittadini cercando l’equilibrio tra il giallo, il verde, il viola.
Cercando l’equilibrio delicato tra l’essere e il non essere, io sono.
Non voglio creare nessuno scompiglio.
Se fossi a Rio o in India dipingerei tranquillo a tutte le ore del giorno e della notte, ma in questo paese, in questo Trullo… è legale solo pitturare le unghie delle donne. Ti ci puoi sbizzarrire, puoi creare fiori, mini fiori, addirittura puoi creare un Picasso in cinque centimetri di unghia.
Ma se esterni il tuo essere o la tua anima sui muri qualcuno chiama la polizia, qualcun altro chiama l’ente delle case popolari, qualcun altro ancora i vigili.
Per alcuni è vietato.
Anzi vietatissimo.
E quando fai l’incontro con la guardia di turno che ti lascia continuare la tua opera – grazie all’immaginario personaggio di Don Bruno, affermando che siamo stati mandati dalla santissima chiesa – continui con una spinta in più e la vernice si mescola con la pelle.
Voglio donare un’anima al mio quartiere perché l’ha persa e perché sono drogato di colore.
La poesia, lascerò solo la poesia, di chi si batte per l’arte, le parole di poeti sconosciuti, ma con il pennello coprirò l’ignoranza, combatterò la volgarità, metterò la vita sui muri che ho sempre amato, pianterò la vita nella terra, e tutto ciò che mi circonda sarà di nuovo pieno di colore. Strisce pedonali, scale, scalette, chiesa, case, negozi, tutto si può colorare, saprò soffiare come polvere dalle mani su tutti coloro che mi diranno di andar via.
Sconfitto sarò costretto a raccogliere i miei secchi di vernici ma tornerò.
Mi confondo con il mio colore, il verde, il giallo, il rosso, il blu, il grigio, il viola e tutte le sfumature, mi dipingo il corpo con l’allegria, la forza e l’intelligenza di chi teme poche cose, come il sonno che non ho, o come la sconosciuta morte. Ed è solo il colore che mi salva, il colore che ho dentro la mia anima, ed è col colore della mia anima che dipingo i muri.
Stamattina all’alba ho fatto un sogno a colori.
Allora?
Allora che c’è?
C’è tutto è niente
C’è il bianco e il nero
E un mare
Un cielo
E una terra
Allora?
Il blu
Il rosso
Il verde
E allora?
Allora vorrei
Che le anime
In cerchio mi raccontassero
I colori sublimi
Del mondo che sta in alto
Allora riderei
È ora di uscire sennò sarà troppo tardi.
Piazza di San Raffaele ore 06:00.
Do il mio buongiorno al mondo e zappo la mia terra arsa.
Ero solo, poi quattro, poi cinque, poi sette.
[Tonia Tomas – Ottavo Poeta #27]
Bravo continua così, in posto bello e colorato anche gli animi si ingentiliscono.
Bellissimo il vostro Lavoro
sono sei anni che vengo qui al Trullo e non è stato mai così bello e vivo come ora. Gio
Meraviglioso, adoro i colori e hai reso magico il Trullo, vieni anche a Portuense ..in via del Forte..Ti aiuto io!
i colori fanno bene alla nostra vita
fa piacere leggere queste storie di quartiere, bravi.
Trullo ti amoooo
chiunque tu sia, hai la mia approvazione… sono cresciuta in un mondo di colori con un padre pittore, faceva quadri, e belli anche… le sue mani erano sempre colorate di pastelli ed anche la punta del naso, chissà poi perchè!
evviva la vita a colori!!!!!!!!!
Grande pezzo , grande iniziativa. Fortuna cheancora oggi c’è chi scrive coi colori e di colori , chi scrive con la panza e senza ghirigori . In questo grigiume un’arcobaleno scritto . Bellissimo
Grande pezzo , grande iniziativa. Fortuna cheancora oggi c’è chi scrive coi colori e di colori , chi scrive con la panza e senza ghirigori . In questo grigiume un’arcobaleno scritto . Bellissimo