Corriere della Sera – 20/11/2013 – I Poeti der Trullo, nipotini metroromantici del Belli – “Prendete Pier Paolo Pasolini, la sua poesia popolare, e il rap, genere musical-letterario di forte denuncia sociale. Mescolateli assieme in una periferia romana, con un pizzico di Romanticismo metropolitano, e avrete i Poeti der Trullo. Un collettivo anonimo e virale di giovani poeti capitolini che stanno animando, con incredibile senso del decoro oltre che del ritmo, i muri di Roma e i social network, dove rimbalzano, condivisi, gli spartiti colorati delle loro voci poetiche. Forse sono loro i nipotini di Giuseppe Gioachino Belli, il poeta che con i suoi oltre duemila sonetti romani ha eretto un monumento filosofico e fonetico al popolo romano, la plebe, il volgo. I Poeti der Trullo non vivono in centro, a Trastevere, come il Belli che fu di famiglia benestante, legata al Vaticano, ma in un quartiere periferico, il Trullo. E non hanno necessariamente la feroce cattiveria del Belli, anche se arrivano a canzonare tutti, da Ratzinger in giù, e hanno una voce collettiva potente che sa esprimere rabbia, oltre all’ironia e una certa struggente malinconia. Il Trullo, dicono, è uno stato mentale, la periferia di un impero caduto. Era una delle tante borgate frequentate da Pasolini, che nel 1963 per caso giocò a calcio con il nonno di uno dei Poeti der Trullo. Un piccolo evento di periferia che Pasolini trasformò in poesia, Pietro II: “Chi ha detto che il Trullo è una borgata abbandonata?/ Le grida della quiete partitella, la muta primavera,/ non è questa la vera Italia, fuori dalle tenebre?”. Quel seme di poesia, fuori dalle tenebre, oggi, ha dato frutti insolitamente efficaci: questi giovani poeti, pur restando anonimi, i PdT (questa la sigla quando non firmano con pseudonimi individuali) sono delle star nel quartiere e a Roma: su Facebook le loro foto-poesie sono molto cliccate e condivise. I PdT sono tutti nati a cavallo degli anni 80 e 90 e hanno nomignoli romanzescamente parlanti. Il gruppo si forma grazie all’incontro, davanti alla chiesa di San Raffaele, tra due amici d’infanzia: Inumi Laconico, appassionato di Pasolini, Belli e Trilussa, introverso e parco di parole, e l’esuberante Er Bestia fanatico del gruppo hip hop COLLE DER FOMENTO official e dei Beastie Boys (da cui il nome); il primo studia Lettere, il secondo spaccia(va) droga, prima di convertirsi alla poesia, dai toni graffianti e satirici. Poi arrivano Marta Der Terzo Lotto, la classicista del gruppo, Er Quercia, un punto di riferimento, solido, nonostante il carattere solitario e Er Pinto, che tra boccali di birra e rime colorate dipinge parole d’amore; infine Er Farco, il più appartato del gruppo, e ‘A gatta morta, sessualmente disinibita e molto disincantata. Sono sette, come i Colli e i Re di Roma; a turno se ne aggiunge un ottavo, scelto tra quelli che mandano poesie via mail. Al “Corriere” il gruppo racconta, via mail, come interagisce la scrittura sui muri fisici e su quelli digitali: “Il muro è un perfetto supporto poetico. Fin dall’età degli antichi romani è stato carta bianca per inchiostri poetici, dissidenti, rivoluzionari. Il muro è una tipologia di carta amata dai liberi pensatori. La nostra poesia, nello specifico, è imperfetta, poesia di strada, e il muro le chiede spontaneamente di essere contaminato dalla sua impronta. Visto che i nostri versi sono provvisori, facilmente cancellabili, devono essere fotografati, e dunque condivisi. Il social network è perfetto. Tutti possono leggere, apprezzare, criticare. E poi camminare per le strade di Roma facendo attenzione a qualche nuovo caso di street poetry, magari fotografarlo e condividerlo di nuovo. Si è creata una rete di lettori che apprezza il nostro impegno e fa crescere la poesia in modo esponenziale. Nella poesia, come nella convivenza civile, le regole sono fondamentali, anche solo per trasgredirle. I Poeti der Trullo si sono dati un codice di comportamento anche per evitarsi la solita discussione sul vandalismo: “Il sonetto convive col verso sciolto, il racconto con la riflessione, le rime baciate con uno stile rap, cioè rap-poetry. Per scrivere poesie sui muri invece sì, le regole sono state necessarie. Non si toccano i monumenti e gli edifici storici, si cerca di usare pennarelli delebili, si scrive soprattutto su superfici già logore, manifesti pubblicitari, cassonetti, muretti di periferia, vecchie cabine telefoniche. Lo scopo è quello di rispettare la nostra città donandole qualcosa in più, che non la deturpi, che strappi un sorriso o condivida una lacrima col passante. Siamo metroromantici e la metropoli è il cuore del nostro Romanticismo.”
[di Luca Mastrantonio]