La domenica mattina gli inadeguati smettono di essere invisibili per apparire a coloro che sanno guardare. Non parlo delle signore che vanno a messa o di quel gruppo di parenti che si ferma a comprare qualche pasticcino per il pranzo di famiglia. Non parlo nemmeno di quei signori che leggono il quotidiano al tavolino di un bar. Queste poche figure sparse qua e là per il quartiere rendono la giornata più romantica, lasciando cadere su di essa il velo di un’inspiegabile, forse atavica malinconia, ma non sono loro gli invisibili che nel paesaggio disabitato della domenica appaiono all’improvviso e mi trascinano in uno scenario inconsueto e sembrano dirmi “ho una storia da raccontare”.
Parlo di quella signora che cammina senza fretta, trascinando un carrello del supermercato colmo di bambole rotte, con quell’abito lungo color tramonto dimenticato e quei due maglioni di lana, uno verde e uno viola, indossati con la fierezza di chi sta colorando la strada. I nostri sguardi si incontrano e io sorrido perché cercavo proprio lei senza neanche sapere perché, ma le sue mille rughe distribuite sul volto come un gioco segreto dalle infinite combinazioni di pieghe, mille espressioni che potrebbero farle risparmiare la fatica delle parole, tutte quelle rughe assumono una composizione così preoccupata che sto per voltarmi, per controllare che non stia accadendo qualcosa di pericoloso alle mie spalle, ma lei mi anticipa parlandomi dritta negli occhi: “Stiamo tornando indietro”.
Parlo di quel cane che si avvicina a me e inizia ad abbaiare. Si allontana con un piccolo scatto, si ferma, si gira verso di me e ricomincia ad abbaiare. Vuole che lo segua? Non può essere. Queste cose accadono nei film. Ma voglio credere che questa domenica mattina la città sia ricoperta di polvere magica e inizio a seguirlo e lo so che la realtà non tiene il passo della fantasia e sarò delusa, ma voglio dare una possibilità a questa domenica mattina e pensare che tutto sia possibile. E alla fine della strada c’è un bambino che vende le sue macchinine ordinate su un lenzuolo bianco ma ora grigio, e quel cane è il suo cane e vuole salvare questo bambino che avrà al massimo sei anni e ha solo qualche straccio addosso e un viso troppo sporco condito da qualche ammaccatura. Ed è così chiara questa immagine che toglie il fiato. Quel bambino, messo lì dai genitori, doveva vendere quelle macchinine e portare i soldi a casa. Il cane lo sa, lo avrà visto mille volte e lo aiuta. Cerca clienti. Abbia per dire: “Aiutaci”. Quel cane insiste per dire “guarda che è una cosa importante”. Non so quanto avrebbe guadagnato in tutta la giornata, ma credo di avergli lasciato abbastanza soldi per non farlo preoccupare per tutto il giorno. Forse è per questi incontri che sono uscita così presto. I miei occhi si accorgono solo di queste storie invisibili. Le cercano, ignorano tutto il resto.
Mi siedo su una panchina per fumare una sigaretta. Sulla panchina accanto alla mia c’è un uomo. Non è italiano. I suoi vestiti raccontano la povertà di chi si tiene stretto coi denti la dignità: un maglione di lana con figure geometriche rosse e marroni, un giubbotto verde scuro, pantaloni a costine e scarpe marroni. Indumenti vecchi, colori abbinati con cura, gli occhi profondamente tristi. Capisco subito che non si tratta di un senza tetto o di un delinquente, eppure quell’espressione di chi non sa cosa fare, quegli abiti, quel corpo stanco e immobile sulla panchina, mi fanno presagire che l’uomo mi chiederà del denaro.
Ogni tanto mi guarda, ma solo per pochi secondo: un lieve movimento del corpo, le labbra che vibrano appena, come se volesse dirmi qualcosa, ma non ci riuscisse. Distoglie lo sguardo. Io no. I miei occhi restano caldi e accoglienti per invitarlo a parlare. Solo dopo cinque o sei tentativi mi chiede in un italiano perfetto i soldi per un biglietto del treno: deve andare a Latina perché lì lo aspetta un lavoro, ma non ha i soldi per andarci.
Quel misto di dignità e disperazione nella sua voce mi lascia in bilico, sospinta dal vento del sospetto, perché il mio presagio si rivela fondato, ma anche trattenuta da tutti quegli indizi di umanità e dalla mia convinzione che a volte le eccezioni sono più numerose delle regole.
Non gli rispondo subito. Cerco di ascoltare le mie sensazioni. Quest’uomo, penso, è lucido, pensieroso, realmente preoccupato, e ha fatto uno sforzo estremo per chiedermi i soldi. È stata una richiesta umiliante. Il mio istinto ha fiducia in lui. Una voce dentro di me mi spinge ad approfondire.
“Che lavoro ti aspetta a Latina’” gli chiedo. L’uomo deve andare a lavorare in un’associazione che si occupa di volontariato. La moglie è rimasta in Romania e non la vede da due anni. Le manda tutti i soldi che può. Ieri notte ha dormito in un rifugio all’aperto in mezzo a centinaia di persone. Gli hanno rubato il portafogli. Non sa come fare. Si chiama Daniel.
Mi siedo accanto a lui e non so se gli darò i soldi, ma sento che questa domenica mattina mi trovo esattamente dove dovevo essere.
Daniel ha 40 anni ed è molto religioso e mi chiede come mo chiamo e guarda il mio corpo con eleganza e desiderio e rispetto, spostando lo sguardo se colto sul fatto. Mi chiede: “Ti piace la filosofia?” e mi parla di Kant e di Hegel.
Parliamo un’ora e non posso fare a meno di credere alla sua storia. Quando gli lascio i soldi del biglietto, nel preciso momento in cui le sue mani li toccano, Daniel arrossisce. Dove avrà dormito nelle ultime settimane? Da quanto tempo non fa un pasto come si deve? Qual è l’ultima volta che qualcuno è stato dolce con lui? Nasce in me un’idea che diventa desiderio e poi una specie di missione: gli chiedo se vuole venire a casa mia a mangiare un buon piatto di pasta e farsi una doccia.
Mia madre mi ha sempre detto che sono un’incosciente e che farò una brutta fine. La verità è che la mia curiosità sulla vita è più forte di me. Devo fare quello che mi viene in mente. Voglio immergermi dentro le persone, le esperienze, gli eventi anche a costo di essere trascinata in mondi confusi e sconosciuti, anche a costo di affogare.
Daniel abbassa lo sguardo e sorride. “Non voglio disturbare” mi dice senza guardarmi davvero. “Per me è un piacere” dico, cercando di dare alla mia voce una sfumatura più materna che maliziosa.
Accetta.
Preparo la pasta. Lui fa la doccia. Quando ci mettiamo a tavola lo osservo con calma. Le mani grandi e ruvide. Le spalle larghe. Le labbra carnose. La pancetta. Da un uomo come lui mi farei sottomettere in tutti i modi che so e che ancora non so. Lascerei che il suo corpo schiacciasse il mio fino a rallentare il mio respiro. Permetterei alla sua mano di spingere la mia testa verso il basso, senza preavviso, per farlo godere. Ma quello sguardo eternamente triste e quel comportamento remissivo, di chi vorrebbe cavarsela da solo ma si trova costretto a chiedere aiuto, spargono tenerezza sulla sua carica erotica e l’unica cosa che voglio in questo istante è sapere da quanto tempo non fa l’amore. E ancora una volta, prima di pensare a dove voglio andare, il pensiero diventa verbo.
Daniel spalanca gli occhi. Sembra ripetersi la domanda in testa per essere sicuro di aver sentito bene. “Due anni” risponde con un sorriso accenato e le pupille proiettate sul pavimento. E tutto quello che voglio in questo momento è rendere quest’uomo felice, nessun gioco di ruolo, nessuna perversione, solo un uomo e una donna che si conoscono attraverso il corpo e traggono piacere l’uno dall’altro, un piacere puro, quell’avvolgersi e confondersi e penetrarsi che devono aver vissuto il primo uomo e la prima donna in una notte fredda e ignota.
Mi siedo sopra di lui e le mie labbra sfiorano le sue e la mia mano scorre sul suo petto e Daniel è immobile come se non ci credesse o non sapesse se può toccarmi, come, dove. Prendo la sua mano e la premo sul mio seno ed è il mio modo di dirgli che può tutto perché so che non farà troppo. Esplora i miei seni, li tira fuori, li seduce, li assapora, e poi non resiste, mi spoglia, toccando e baciando ogni parte del mio corpo. Ci spostiamo in camera da letto e Daniel mi prende in braccio con il suo rassicurante sorriso e poi entra dentro di me, per molto tempo, in mille luoghi diversi anche se il letto è sempre lo stesso, cercando di non oltrepassare nessun confine, guardandomi come si guardano gli angeli. Il suo orgasmo non è solo un piacere del corpo: l’espressione del visto, i versi che la sua bocca emette e i movimenti impercettibili dei suoi muscoli raccontano un momento di felicità. Si dice che gli angeli esistono e sono persone come noi che entrano improvvisamente nella nostra vita, magari solo per un giorno o per un minuto, e ci fanno un regalo questi angeli, senza chiedere niente in cambio, per questo sono angeli, arrivano e ci danno qualcosa di bello che ci dà speranza o forza o anche solo un sorriso di quelli che non facevamo da tempo.
Meravigliosa!!!!!!
Bellissima e complimenti a chi possiede un cuore e occhi che sanno ancora osservare <3
favolosa!
io sono tra quelli…..
Stupenda
MERAVIGLIOSA !!! BRAVA
Bello!!!
bella davvero!!!
bellissima, amo la vostra pagina <3
Uhhhh,brava la mia zia preferita e unica che ho!!!Ti voglio bn
certo…andare oltre e al di là del consueto richiede un grande coraggio…sbarazzarsi di tutte le formalità acquisite ti indirizza ad una conoscenza profonda del tuo “essere”…che come in uno specchio troverai in chi ha le tue stesse “vibrazioni”….bella davvero, complimenti!!!!!
Perfetta hai definito la mia giornata fantastico
Sì…