Il Manifesto – L’Inchiesta: Poeti der Trullo – Metroromantici in versi – La Periferia è uno Stato della Mente

Da Il Manifesto di giovedì 27 marzo 2014. L’Inchiesta. Poeti der Trullo: Metroromantici in versi – Oggi la periferia è uno stato della mente. Articolo di Alberto Piccinini.

Da quat­tro anni i Poeti der Trullo scri­vono versi per le strade di Roma. Coi pen­na­relli grossi, come quelli delle tag. Strofe inna­mo­rate, sar­ca­sti­che, arrab­biate, nostal­gi­che. In dia­letto. «Ma è più un ita­liano logo­rato, stor­piato. – mi cor­regge Inumi Laconico , uno dei fon­da­tori del gruppo — Abbiamo anche avuto cri­ti­che sulle parole e sulla gra­fia che usiamo, del tipo “il Belli l’avrebbe scritto così”. Ma noi vogliamo par­lare come i ragazzi che la sera vanno a Tra­ste­vere a pren­dere una birra».

Sono in sette, dal Trullo e din­torni, fino giù a Cor­viale. «All’inizio era­vamo io Er Bestia, molto diversi, lui in fissa col mondo del rap io che mi fermo a Renato Zero, e abbiamo messo le nostre poe­sie su face­book. — con­ti­nua — Poi sono arri­vati Marta der Terzo Lotto che conosceva Er Bestia, è arri­vato Er Quer­cia che era il mio migliore amico, poi Er Pinto, ‘A gatta morta, Er Farco». Il gioco dei sopran­nomi, l’anonimato, è una regola pre­cisa. Nes­suno di loro appare in pub­blico, e quando serve chiede aiuto a dei gio­vani attori. Spiega Inumi: «All’inizio l’anonimato ser­viva a darci libertà nelle sto­rie che scri­ve­vamo. Adesso è un valore aggiunto. Impor­tanti sono le nostre parole, non le nostre facce».

Il Trullo è una delle bor­gate di Roma nate negli anni ’30 per acco­gliere gli sfol­lati del rione Monti. Prov­vi­so­ria­mente, si disse. Si chia­mava bor­gata Costanzo Ciano, poi Duca D’Aosta. Nel dopo­guerra il genius loci ripiegò su un sepol­cro romano a forma di trullo, poco nelle vici­nanze. Il nome è entrato nell’uso comune della città come un luogo lon­tano, irrag­giun­gi­bile, quasi uno scherzo fone­tico. Er Trullo. Paso­lini arrivò al Trullo nel 1963 e giocò una par­ti­tella a pal­lone coi ragazzi. «Chi ha detto che il Trullo è una bor­gata abban­do­nata?», scrisse in una magni­fica poe­sia. E ancora: «Non è que­sta la vera Ita­lia, fuori dalle tene­bre?». I Poeti der Trullo l’hanno tra­scritta sulla loro pagina Face­book. «A noi piace pen­sare che 60 anni fa Paso­lini abbia get­tato dei semi. Che tutto è cam­biato, ma resta quello sguardo roman­tico nei con­fronti della peri­fe­ria, di una realtà che un tempo era emar­ginata e oggi è com­ple­ta­mente omo­lo­gata. Sono discorsi fatti e rifatti: le pro­fe­zie si sono avve­rate, i valori cam­biati, i ragazzi se l’è man­giati il con­su­mi­smo, la bor­gata che è rima­sta nella sto­ria del cinema e della let­te­ra­tura non esi­ste più».

Aggiun­gono con piglio da rap­per: il Trullo è uno «stato della mente». Spiega Inumi: «Tanti ci man­dano le loro poe­sie, da Roma e da fuori, un eser­cito di poeti dalla peri­fe­ria del mondo». Hanno 75.000 fans sulla pagina Face­book, e li hanno ribat­tez­zati l’Ottavo Poeta. «L’Ottavo Poeta è chi a turno pub­blica sulla nostra pagina. Gente di tutte le età e le estra­zioni, molti ragazzi. Il fatto che siamo un po’ spor­chi, di strada, serve a far sì che si misu­rino più facil­mente con la poe­sia». Tutti con­qui­stati dalla grande sau­dade romana nasco­sta: il roman­ti­ci­smo della città spa­rita, siano le grandi rovine del cen­tro o i pic­coli angoli sbrec­ciati della bor­gata anni ’60. Che ispi­ra­rono ugual­mente Goe­the e Franco Califano, G.G. Belli e l’hip-hop di Cen­to­celle. «Il Trullo, come tutta la peri­fe­ria, è cam­biato tan­tis­simo rispetto a quando ero pic­colo. — riflette ancora Inumi — Negli anni ’90 c’erano i tos­sici in piaz­zetta, meno mac­chine, non erano ancora arri­vati gli stra­nieri. La nostal­gia è una cosa per­so­nale, ma anche un sen­ti­mento poe­tico. Noi per que­sto ci defi­niamo metro­ro­man­tici. Pensiamo cioè che alcuni luo­ghi della città conten­gano poe­sia: la sta­zione della metro, una fab­brica abban­do­nata, il nasone (la fon­ta­nella romana, ndr), una scavatrice.».

Una delle poe­sie di Inumi si inti­tola ‘Na vorta. Comin­cia così: «’Na vorta a Roma mia/ se cam­pava co’ du’ spicci./ Se can­tava in ogni via/ pe’ da’ sfogo a li capricci». Chiedo a lui se que­sta nostal­gia irre­pa­ra­bile non rischi di tra­sfor­marsi in una spe­cie di ras­se­gna­zione al pre­sente. «Ras­se­gna­zione, no. — mi inter­rompe — Per me, per noi, fare poe­sia è già un gesto di costruzione, e que­sto gesto è con­di­viso coi let­tori che ci sosten­gono. Si può essere più o meno pes­si­mi­sti su Roma. Molti di noi lo sono, ma quando leggo altri gruppi in Rete che dicono Roma fa schifo, fil­mano i ragaz­zetti che scri­vono sui muri, sosten­gono che è la città più sporca del mondo, allora no. Noi vogliamo par­lare di altro, per­ché siamo con­vinti che c’è dell’altro. Gli immi­grati stanno costruendo le nuove peri­fe­rie, che i romani lo vogliano o no, per­ché Roma è sem­pre stata una città mul­tiet­nica. E se Carlo Ver­done dal suo appar­ta­mento all’ultimo piano sul Gia­ni­colo guarda giù e dice che Roma è piena di scritte sui muri sono pro­blemi suoi. Roma è Roma. Le tag ci sono, ma io fac­cio il poeta. I nostri versi stanno sui cas­so­netti, sui car­tel­loni pub­bli­ci­tari, nei cessi, nelle cabine tele­fo­ni­che abban­do­nate. Per noi Roma è un immenso foglio bianco e ci piace rega­lare qual­che segno, anche in posti nascosti».

Non sono soli, i Poeti der Trullo. Negli ultimi anni musi­ci­sti che pro­ven­gono del rock hanno ripreso in mano la tra­di­zione poe­tica roma­nesca, con la sua tea­tra­lità, il sar­ca­smo, la stessa nostal­gia incol­ma­bile. Arde­core, Muro del Canto, Banda Jorona stu­diano e rican­tano Gabriella Ferri e il Can­zo­niere del Lazio. Ai con­certi riem­piono e incen­diano gli spazi occu­pati. Intanto, due gene­ra­zioni di rap­per, dalle prime Posse ai gio­va­nis­simi tra­du­cono in gergo da pischelli la nuova mito­lo­gia della peri­fe­ria romana, il guar­die e ladri not­turno tra le peri­fe­rie sto­ri­che e in via di gen­tri­fi­ca­zione, e i quar­tieri oltre il Rac­cordo. «I rap­per sono i nuovi cantautori. Danno voce a un sen­ti­mento col­let­tivo, a degli stati d’animo», com­menta Inumi. «Noi abbiamo solo le parole, ma arri­viamo lo stesso gra­zie alla Rete, e trent’anni fa non sarebbe stata la stessa cosa». «Negli ultimi anni — riflette infine — Roma ha i fari pun­tati: i comici, Romanzo Cri­mi­nale, il tipo umano del coatto. In realtà vor­remmo ribal­tare que­sto ste­reo­tipo. Anche noi ci vogliamo pren­dere Roma, come gri­dava la banda della Magliana, ma con le parole, non con le pistole».

mnf

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